La scelta dell'olio

L’uso a crudo o a fine cottura, come già detto, rimane il modo per far esprimereall’olio extravergine il massimo dei suoi profumi e tutto il suo corredo antiossidante nativo. Come abbinare l’olio ai piatti? Ognuno dovrebbe sperimentare e scegliere secondo il proprio gusto. Secondo me, in linea generale, quando l’olio è veramente buono si presta per un uso quasi universale. Possiamo però scegliere oli dal “fruttato” (così si definisce tecnicamente l’insieme degli odori e sapori di un olio vergine di oliva) più o meno pronunciato in relazione al tipo di contributo che vogliamo dare al piatto finale. Oli amari per piatti su cui si sposa un intenso fruttato di oliva, ed un gusto amaro-piccante deciso. Oli a fondo dolce (poco amari) e dall’aroma più lieve per preparazioni in cui si vuole esaltare l’aroma dell’alimento (fresco o cotto) che comunque si presenta delicato e verrebbe mascherato e soffocato da un olio troppo intenso. Oli fruttati intensi quindi per piatti come zuppe di legumi, bruschette, insalata caprese, pasta con ricotta, pasta e fagioli o lenticchie, pasta con cime di rapa, arrosti, paste con soffritti semplici e veloci (aglio, pomodorini e basilico; alici salate; vongole o frutti di mare; etc). Oli dal fruttato più leggero e a fondo dolce per insalate, pesci, carni bianche, piatti elaborati e dal sapore delicato. Va poi sempre tenuto presente un importante aspetto: la quantità impiegata. Se si dispone di un olio più “forte” può essere una valida strategia dietetica aggiungerne meno! Ne basta meno, infatti, per dare un contributo sensoriale al piatto senza aumentare troppo le calorie complessive.Visto che siamo quasi tutti in sovrappeso è un aspetto da non trascurare. Va ricordato, infine, che anche nell’uso a crudo i componenti dell’olio possono interagire con gli altri ingredienti (per esempio quelli a base di latte che ne mascherano il carattere) per dare origine a particolari effetti aromatici. Ad esempio nell’insalata caprese.

 

Ma come si capisce quando l'olio è buono?

Come riconoscere ‘a naso’ la qualità dell’olio extravergine: eccolo spiegato il più semplicemente possibile, anche se è necessario subito chiarire che è fondamentale acquisire una minina esperienza pratica nel suo assaggio. Il consumatore moderno di olio extra-vergine di oliva, come dimostrato da diverse indagini e studi condotti a livello nazionale ed internazionale, possiede pochi strumenti conoscitivi tali da consentirgli una scelta ed una valutazione ‘oggettiva’ della qualità dell’olio che consuma. Il suo gusto, assuefatto all’olio (spesso pessimo) dell’oliera un tempo diffusa nei ristoranti (una recente normativa oggi obbliga anche il ristorante a servire olio confezionato ed etichettato), stenta a riconoscere la qualità dell’olio. Gli elementi-base per la valutazione della qualità organolettica dell’olio sono: colore, odore e gusto. L’allenamento all’assaggio, soprattutto se guidato da esperti, e l’esperienza possono, con non molte difficoltà, portare quindi il consumatore ad una più attenta valutazione della qualità dell’olio. Il colore e la torbidità. Il colore dell’olio dipende dalla quantità di pigmenti gialli (caroteni) e verdi (clorofille) presenti. Questi, a loro volta, dipendono da numerosi fattori quali: varietà e stadio di matu- razione delle olive, tecnologia di estrazione, conservazione. Il colore, in senso assoluto, non è un indicatore affidabile della qualità effettiva dell’olio. Infatti, a meno di colorazioni tendenti all’arancio o al bruno, che denotano un’evidente ossidazione, il colore più o meno giallo o più o meno verde non è strettamente legato alla qualità oggettiva del prodotto (nutrizionale e sensoriale).Torbidità e qualità. L’olio appena ottenuto al frantoio si presenta leggermente torbido, velato. E’ assolutamente normale, però, che nel tempo possa depositare sul fondo un po’ di sedimento e tracce di acqua (morchie), che se non allontanati tendono nel tempo ad alterare i profumi originari dell’olio. Certamente l’olio velato appena prodotto ha qualità uniche (olio nuovo e vino vecchio … dicevano gli Antichi), ma dobbiamo stare attenti a conservarlo a basse temperature, al buio e a consumarlo in qualche mese. Altrimenti è opportuno effettuare i travasi ed eventualmente la filtrazione. Gli oli in bottiglia, per prolungate distribuzioni e per una vita media di oltre un anno, sono, per questo motivo, solitamente filtrati. Di per sé quindi, il fatto che sia torbido o limpido non dice niente sulla qualità, il tutto è legato alle modalità di conservazione ed al tempo di uso del prodotto. Il profumo-aroma. L’olfatto è il senso più importante nella valutazione di qualsiasi alimento e, anche nel caso dell’olio, le nostre narici “analizzano” centinaia di sostanze volatili diverse per dare un giudizio di sintesi sull’olio. Le sostanze volatili caratteristiche degli oli vergini derivano direttamente dal frutto, e conferiscono all’olio un aroma tipico, definito appunto “fruttato di oliva”. Oltre ai profumi originari del frutto, tuttavia, una cattiva conservazione delle olive, un’errata trasformazione ed una cattiva conservazione dell’olio possono conferire all’olio degli aromi negativi o ‘difetti’ dati da sostanze volatili che si originano per fermentazione delle olive o per ossidazione dell’olio. Tra i difetti di origine fermentativa, molto comuni sono quelli di “avvinato-inacetito” (dovuto a fermentazioni alcolico acetiche), di “muffa” (quando sulle olive o sull’impianto sporco si sono sviluppate muffe) o di “riscaldo” (dovuto a fermentazioni lattiche delle olive). In frantoio si possono originare i difetti di “cotto”, “fermentato” e “metallico”. Un difetto molto comune negli oli imbottigliati, soprattutto se vicini alla data di scadenza è il “rancido”, sensazione olfattiva che origina dall’ossidazione (irrancidimento). Un olio extra-vergine, a norma di legge, non deve presentare alcun difetto percepibile e presentare il solo “fruttato”. Il gusto. L’organo del gusto è la lingua, su cui sono alloggiati i recettori nelle papille. Amaro, dolce, acido e salato. Piccante sulla mucosa. Le sostanze antiossidanti naturali presenti nell’oliva (polifenoli) a cui, come discusso, oggi si dà grandissima importanza per la nostra salute conferiscono all’olio un tipico gusto amaro-piccante percepibile soprattutto nella parte basale della lingua. Tale gusto, piuttosto persistente a causa della forte interazione tra sostanze fenoliche e papille gustative ‘caliciformi’, è associato ad un olio che ne contiene piccole ma significative quantità (0,1-0,6 grammi/litro d’olio). L’amaro-piccante dell’olio (“olio che pizzica in gola”), quando non esagerato, è quindi un vero e proprio pregio del prodotto. Purtroppo, molti consumatori scambiano questo pregio per un difetto, ritenendo che l’olio che ha questo gusto sia un olio “pesante” o “indigesto” o “acido”.

 L'olio è buono quando…

Volendo fornire un pro-memoria semplificato da applicare e sperimentare agli oli che assaggiamo, potremmo dire che “l’olio è buono quando”…

… annusandolo sentiamo un’odore più o meno intenso che ricorda l’oliva fresca schiacciata o la foglia di ulivo sfregata tra le mani, oppure una sensazione pungente, fresca e gradevole di erba appena sfalciata, con eventuali note che ci ricordano la foglia di pomodoro, il carciofo e/o odori di frutta verde quali la mela. L’insieme di queste sensazioni viene definito “fruttato di oliva”.

… assaggiandolo dà una leggera sensazione di amaro e piccante alla base della lingua. Questa sensazione è dovuta alla presenza dei composti fenolici, antiossidanti naturali che proteggono l’olio durante la conservazione e la cottura. Come visto all’inizio di questo volumetto, tali composti svolgono un’importantissima azione anche in vivo, proteggendo le nostre cellule dall’invecchiamento e dallo stress ossidativo (bloccano i radicali liberi). Purtroppo, spesso la nostra disabitudine a consumare oli che presentano questo carattere ci porta a non accettarlo, preferendo oli dal gusto piatto.

 L'olio non è buono quando…

… annusandolo non avvertiamo alcun odore oppure avvertiamo odori diversi dal “fruttato”, ovvero “difetti”. I difetti più comuni solo quelli che si sono originati da danni alle olive, dalla loro prolungata conservazione prima dell’estrazione dell’olio, dalle fermentazioni indesiderate dei frutti danneggiati, marcio ammuffiti che trasferiscono odori anomali di “muffa”, “riscaldo”, “avvinato”, “morchia” o “rancido”. Quest’ultimo è dovuto all’ossidazione dell’olio per effetto dell’ossigeno dell’aria ed è caratterizzato da odori che ricordano le noci vecchie, la frutta secca, il grasso irrancidito, fino a un intenso odore che ricorda la vernice-plastica.

… assaggiandolo percepiamo sensazioni sgradevoli che ricordano il grasso irrancidito, la vernice, o l’oliva in salamoia, la muffa o il putrido. Un olio “vecchio” irrancidito evidenzia sempre un fondo dolce. La mancanza dell’amaro e del piccante (indice del fatto che si sono decomposti i fenoli) collegata al difetto di rancido è un chiara spia del fatto che l’olio ha ormai subito un processo ossidativo irreversibile.

L’analisi chimica dell’olio (determinazioni dell’acidità, numero di perossidi, etc.) fornisce ulteriori informazioni, dando spesso conferma delle sensazioni olfatto-gustative (positive o negative) percepite all’assaggio, ad esempio sullo stato di ossidazione e la rancidità dell’olio. Bisogna sottolineare però che l’acidità libera misurata in laboratorio non si sente assolutamente all’assaggio. E’ un parametro chimico che misura la percentuale di acidi grassi liberatisi dalla decomposizione dei trigliceridi. Gli acidi grassi liberi sono inodori ed insapori. Il fatto che all’assaggio si possa sentire se l’olio è “acido” è del tutto falso e si basa invece su sensazioni dovute a sostanze (antiossidanti fenolici) positive! L’olio più “pizzica in gola” e più è buono! Vallo a spiegare … ad un cuoco ignorante!

Ma come si capisce quando l'olio è buono?

Come riconoscere ‘a naso’ la qualità dell’olio extravergine: eccolo spiegato il più semplicemente possibile, anche se è necessario subito chiarire che è fondamentale acquisire una minina esperienza pratica nel suo assaggio. Il consumatore moderno di olio extra-vergine di oliva, come dimostrato da diverse indagini e studi condotti a livello nazionale ed internazionale, possiede pochi strumenti conoscitivi tali da consentirgli una scelta ed una valutazione ‘oggettiva’ della qualità dell’olio che consuma. Il suo gusto, assuefatto all’olio (spesso pessimo) dell’oliera un tempo diffusa nei ristoranti (una recente normativa oggi obbliga anche il ristorante a servire olio confezionato ed etichettato), stenta a riconoscere la qualità dell’olio. Gli elementi-base per la valutazione della qualità organolettica dell’olio sono: colore, odore e gusto. L’allenamento all’assaggio, soprattutto se guidato da esperti, e l’esperienza possono, con non molte difficoltà, portare quindi il consumatore ad una più attenta valutazione della qualità dell’olio. Il colore e la torbidità. Il colore dell’olio dipende dalla quantità di pigmenti gialli (caroteni) e verdi (clorofille) presenti. Questi, a loro volta, dipendono da numerosi fattori quali: varietà e stadio di matu- razione delle olive, tecnologia di estrazione, conservazione. Il colore, in senso assoluto, non è un indicatore affidabile della qualità effettiva dell’olio. Infatti, a meno di colorazioni tendenti all’arancio o al bruno, che denotano un’evidente ossidazione, il colore più o meno giallo o più o meno verde non è strettamente legato alla qualità oggettiva del prodotto (nutrizionale e sensoriale).Torbidità e qualità. L’olio appena ottenuto al frantoio si presenta leggermente torbido, velato. E’ assolutamente normale, però, che nel tempo possa depositare sul fondo un po’ di sedimento e tracce di acqua (morchie), che se non allontanati tendono nel tempo ad alterare i profumi originari dell’olio. Certamente l’olio velato appena prodotto ha qualità uniche (olio nuovo e vino vecchio … dicevano gli Antichi), ma dobbiamo stare attenti a conservarlo a basse temperature, al buio e a consumarlo in qualche mese. Altrimenti è opportuno effettuare i travasi ed eventualmente la filtrazione. Gli oli in bottiglia, per prolungate distribuzioni e per una vita media di oltre un anno, sono, per questo motivo, solitamente filtrati. Di per sé quindi, il fatto che sia torbido o limpido non dice niente sulla qualità, il tutto è legato alle modalità di conservazione ed al tempo di uso del prodotto. Il profumo-aroma. L’olfatto è il senso più importante nella valutazione di qualsiasi alimento e, anche nel caso dell’olio, le nostre narici “analizzano” centinaia di sostanze volatili diverse per dare un giudizio di sintesi sull’olio. Le sostanze volatili caratteristiche degli oli vergini derivano direttamente dal frutto, e conferiscono all’olio un aroma tipico, definito appunto “fruttato di oliva”. Oltre ai profumi originari del frutto, tuttavia, una cattiva conservazione delle olive, un’errata trasformazione ed una cattiva conservazione dell’olio possono conferire all’olio degli aromi negativi o ‘difetti’ dati da sostanze volatili che si originano per fermentazione delle olive o per ossidazione dell’olio. Tra i difetti di origine fermentativa, molto comuni sono quelli di “avvinato-inacetito” (dovuto a fermentazioni alcolico acetiche), di “muffa” (quando sulle olive o sull’impianto sporco si sono sviluppate muffe) o di “riscaldo” (dovuto a fermentazioni lattiche delle olive). In frantoio si possono originare i difetti di “cotto”, “fermentato” e “metallico”. Un difetto molto comune negli oli imbottigliati, soprattutto se vicini alla data di scadenza è il “rancido”, sensazione olfattiva che origina dall’ossidazione (irrancidimento). Un olio extra-vergine, a norma di legge, non deve presentare alcun difetto percepibile e presentare il solo “fruttato”. Il gusto. L’organo del gusto è la lingua, su cui sono alloggiati i recettori nelle papille. Amaro, dolce, acido e salato. Piccante sulla mucosa. Le sostanze antiossidanti naturali presenti nell’oliva (polifenoli) a cui, come discusso, oggi si dà grandissima importanza per la nostra salute conferiscono all’olio un tipico gusto amaro-piccante percepibile soprattutto nella parte basale della lingua. Tale gusto, piuttosto persistente a causa della forte interazione tra sostanze fenoliche e papille gustative ‘caliciformi’, è associato ad un olio che ne contiene piccole ma significative quantità (0,1-0,6 grammi/litro d’olio). L’amaro-piccante dell’olio (“olio che pizzica in gola”), quando non esagerato, è quindi un vero e proprio pregio del prodotto. Purtroppo, molti consumatori scambiano questo pregio per un difetto, ritenendo che l’olio che ha questo gusto sia un olio “pesante” o “indigesto” o “acido”.

 L'olio è buono quando…

Volendo fornire un pro-memoria semplificato da applicare e sperimentare agli oli che assaggiamo, potremmo dire che “l’olio è buono quando”…

… annusandolo sentiamo un’odore più o meno intenso che ricorda l’oliva fresca schiacciata o la foglia di ulivo sfregata tra le mani, oppure una sensazione pungente, fresca e gradevole di erba appena sfalciata, con eventuali note che ci ricordano la foglia di pomodoro, il carciofo e/o odori di frutta verde quali la mela. L’insieme di queste sensazioni viene definito “fruttato di oliva”.

… assaggiandolo dà una leggera sensazione di amaro e piccante alla base della lingua. Questa sensazione è dovuta alla presenza dei composti fenolici, antiossidanti naturali che proteggono l’olio durante la conservazione e la cottura. Come visto all’inizio di questo volumetto, tali composti svolgono un’importantissima azione anche in vivo, proteggendo le nostre cellule dall’invecchiamento e dallo stress ossidativo (bloccano i radicali liberi). Purtroppo, spesso la nostra disabitudine a consumare oli che presentano questo carattere ci porta a non accettarlo, preferendo oli dal gusto piatto.

 L'olio non è buono quando…

… annusandolo non avvertiamo alcun odore oppure avvertiamo odori diversi dal “fruttato”, ovvero “difetti”. I difetti più comuni solo quelli che si sono originati da danni alle olive, dalla loro prolungata conservazione prima dell’estrazione dell’olio, dalle fermentazioni indesiderate dei frutti danneggiati, marcio ammuffiti che trasferiscono odori anomali di “muffa”, “riscaldo”, “avvinato”, “morchia” o “rancido”. Quest’ultimo è dovuto all’ossidazione dell’olio per effetto dell’ossigeno dell’aria ed è caratterizzato da odori che ricordano le noci vecchie, la frutta secca, il grasso irrancidito, fino a un intenso odore che ricorda la vernice-plastica.

… assaggiandolo percepiamo sensazioni sgradevoli che ricordano il grasso irrancidito, la vernice, o l’oliva in salamoia, la muffa o il putrido. Un olio “vecchio” irrancidito evidenzia sempre un fondo dolce. La mancanza dell’amaro e del piccante (indice del fatto che si sono decomposti i fenoli) collegata al difetto di rancido è un chiara spia del fatto che l’olio ha ormai subito un processo ossidativo irreversibile.

L’analisi chimica dell’olio (determinazioni dell’acidità, numero di perossidi, etc.) fornisce ulteriori informazioni, dando spesso conferma delle sensazioni olfatto-gustative (positive o negative) percepite all’assaggio, ad esempio sullo stato di ossidazione e la rancidità dell’olio. Bisogna sottolineare però che l’acidità libera misurata in laboratorio non si sente assolutamente all’assaggio. E’ un parametro chimico che misura la percentuale di acidi grassi liberatisi dalla decomposizione dei trigliceridi. Gli acidi grassi liberi sono inodori ed insapori. Il fatto che all’assaggio si possa sentire se l’olio è “acido” è del tutto falso e si basa invece su sensazioni dovute a sostanze (antiossidanti fenolici) positive! L’olio più “pizzica in gola” e più è buono! Vallo a spiegare … ad un cuoco ignorante!